Il tema della sostenibilità nella moda è un argomento “caldo”. Mai come negli ultimi cinque anni le maggiori aziende del settore nella loro comunicazione mettono in evidenza i progressi compiuti per diminuire il loro impatto ambientale.

Tra dati da prendere con le pinze, green washing e nuove abitudini di consumo, la tendenza è consolidata: e noi abbiamo deciso di parlarne in questo articolo.

Sostenibilità nella moda: il contesto

 “La moda è la seconda industria più inquinante al mondo”: una frase che probabilmente avete già sentito. In realtà l’affermazione si basa su dati non sempre affidabili e spesso smentiti dai fatti.

Che la sostenibilità nella moda sia un tasto dolente, tuttavia, è confermato. A ribadirlo anche il rapporto pubblicato a maggio 2022 da The Business of Fashion, una delle più seguite riviste online di settore. L’analisi parte dai dati resi pubblici da trenta grandi brand del settore lusso, streetwear e abbigliamento sportivo e tiene in conto:

  • Gli obiettivi di sostenibilità dichiarati e i risultati ottenuti;
  • Le strategie ambientali in essere;
  • Le condizioni di lavoro di dipendenti e collaboratori.

Le informazioni racconte sono state confrontate con gli obiettivi degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. In particolare, l’analisi considera l’utilizzo delle risorse idriche, le emissioni inquinanti, l’impiego di prodotti chimici, la gestione dei rifiuti, la sostenibilità delle materie prime e tutela dei diritti dei lavoratori.

Rispetto alla rilevazione dei dodici mesi precedenti, la situazione sembra essere peggiorata: il punteggio medio totalizzato dalle aziende è di soli 28 punti su 100 e nessuna ha superato la soglia di 50 punti. Di più, solo due delle aziende coinvolte, Puma e Hermès, hanno migliorato i propri risultati.

Il Circular Fashion Index, un’altra indagine sulla moda sostenibile decisamente più estesa pubblicata annualmente, conferma che si può fare di più. In questo caso l’analisi ha coinvolto 150 marchi in venti diversi paesi. I criteri di valutazione sono stati:

  • La percentuale di tessuti riciclati reimmessa nel ciclo produttivo per realizzare nuovi prodotti;
  • L’importanza attribuita dalla comunicazione del brand alla sostenibilità nella moda;
  • La completezza delle istruzioni di lavaggio fornite, per proteggere i capi e farli durare più a lungo;
  • L’attivazione di eventuali servizi per la riparazione dei capi;
  • La vendita di capi usati;
  • Il noleggio e la raccolta di vestiti di seconda mano.

I risultati indicano che appena il 7% delle imprese coinvolte reimpiega tessuti riciclati, mentre il 54% li utilizza solo per dettagli e particolari e il 30% non li usa affatto. Anche per quanto riguarda i suggerimenti di cura e lavaggio dei capi, solo il 46% dei brand dedica attenzione al tema.

Il 35% dei marchi considerati proviene da Francia, Italia e Germania e due marchi italiani figurano tra i primi dieci per performance: OVS e Gucci.

A fronte di un quadro generale per la moda sostenibile che evolve ancora troppo lentamente, malgrado le dichiarazioni, si registrano però due novità importanti. Da un lato, sono sempre di più i piccoli brand che decidono di impegnarsi nel settore, anche con scelte decisamente radicali. Dall’altro, i consumatori orientano le loro scelte verso modelli d’acquisto più  attenti.

Ad affermarlo, tra gli altri, una ricerca dell’Università Bocconi del 2021, condotta dagli studenti del Master in Fashion Experience e Design Management. Il campione intervistato include 560 consumatori di diverse età in tutta Europa e i risultati sono chiari:

  • L’82% delle persone coinvolte nell’indagine pensa che i brand della moda debbano investire di più nella sostenibilità, tutelando anche la salute, il benessere e la sicurezza dei dipendenti.
  • Più del 50% dichiara di essere pronto a spendere fino al 20% per capi sostenibili;
  • La metà degli intervistati ritiene che la tracciabilità della filiera di produzione e la giusta remunerazione di fornitori e lavoratori vadano valutate in fase di acquisto.

In un mercato in cui l’attenzione alla sostenibilità da parte dei consumatori si sta risvegliando, diventano importanti anche standard internazionali e certificazioni. Vediamo quali sono le principali.

Moda sostenibile: le certificazioni

Le certificazioni nella moda sostenibile sono diverse e interessano vari ambiti. In effetti, un industria come quella del fashion coinvolge lavorazioni differenti, dalla scelta delle materie prime al packaging. Ad affiancare le certificazioni più note del settore, come Oeko – Tex e  allora, arrivano attestazioni meno conosciute ma estremamente puntuali. Iniziamo comunque con le due principali:

  • Lo Standard Oeko-tex è una certificazione nata nel 1992 che valuta le materie prime, i semilavorati e i prodotti finiti . In particolare, vengono esaminati i valori di sostanze potenzialmente inquinanti o dannose e la sostenibilità delle lavorazioni. Rispetto ai parametri obbligatori per legge individuati a livello nazionale, europeo e internazionale, la certificazione Oeko-tex stabilisce criteri molto più stringenti.
  • La certificazione GOTSGlobal Organic Textile Standard valuta gli standard  di trasformazione e lavorazione delle fibre naturali biologiche come cotone, lana, canapa e lino. Tra i criteri considerati ci sono sia elementi di sostenibilità ambientale che valutazioni di tipo etico. Ad esempio, viene valutato il grado di tossicità e biodegradabilità di componenti quali i pesticidi utilizzati nella coltivazione, le tinture e i prodotti chimici per il trattamento delle fibre. In più, lo standard GOTS verifica il rispetto lungo tutta la filiera dei criteri minimi relativi alle condizioni di dipendenti e collaboratori stabilite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Dal momento che abbiamo toccato il tema del riutilizzo e del riciclo dei capi, vale la pena di menzionare anche il GRSGlobal Recycled Standard. Si tratta di una certificazione assegnata a imprese che producono capi con una data percentuale di materiali di riciclo. Tra le fibre riciclate a cui si attribuisce la certificazione ci sono lana, cotone, poliestere, fibre di cuoio rigenerate, poliammide. Anche in questo caso, per ottenere il riconoscimento, le aziende devono dimostrare di rispettare anche i diritti dei lavoratori lungo tutta la filiera.

Parlando di tutela delle risorse umane, le certificazioni della Fair Wear Foundation si focalizzano proprio sulle condizioni di lavoro. Tra i criteri considerati:

  • Il rispetto del principio di non discriminazione in base a sesso, età, etnia, orientamento sessuale ecc.;
  • La libertà di scelta dell’impiego;
  • Il divieto di sfruttamento di lavoro minorile;
  • L’orario di lavoro;
  • L’equità degli stipendi e delle retribuzioni;
  • La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

Infine, una delle certificazioni nate per prime per promuovere la sostenibilità nella moda è quella curata da PETA – People for the Ethical Treatment of Animals. L’organizzazione premia le aziende che non utilizzano materiali di origine animale, in tutte le fasi di lavorazione.

Moda sostenibile in Italia: buone pratiche

In uno dei prossimi articoli parleremo ancora di sostenibilità nel settore del fashion, raccontando l’impegno di OVS. La moda sostenibile in Italia è un settore in pieno sviluppo: come abbiamo visto, infatti, diversi brand del nostro paese sono ai primi posti per rispetto dell’ambiente e attenzione sociale.

Anche moltissime aziende piccole e medie si stanno imponendo all’attenzione dei consumatori, proponendo un modo diverso di considerare lavorazioni, prodotti e tendenze.

Una di queste è il brand Rifò, un’azienda toscana nata per promuovere la moda sostenibile in Italia. Rifò propone linee per uomo, per donna e per la casa realizzate con fibre rigenerate (e nuovamente rigenerabili in futuro). Tutta la produzione è gestita nella zona di Prato, partendo dalla tradizione locale dei cenciaioli, che già cento anni fa rigeneravano i vecchi capi per ricavarne nuovo filato. Tra le lavorazioni, la rigenerazione di capi in cashmere e dei jeans usati.

L’azienda ha deciso di impiegare anche lavoratori svantaggiati, integrando formazione in aula e sul campo, in collaborazione con istituti e associazioni locali. Anche il packaging è curato, e ogni capo riporta istruzioni dettagliate per il lavaggio e la conservazione dei capi nel tempo.

Un altro progetto di moda sostenibile in Italia è quello portato avanti da Altromercato con la linea di abbigliamento On EarthDal 2012 in poi designer e stilisti hanno collaborato con il brand più noto del commercio equo e solidale per creare capi sostenibili. Le produzioni, infatti:

  • Promuovono il lavoro e la formazione tecnica nelle comunità locali delle aree del mondo da cui provengono le materie prime;
  • Assicurano l’equa retribuzione delle risorse umane lungo tutta la filiera;
  • Favoriscono l’uso di fibre innovative di origine vegetale: come il Lyocell, derivato dalla polpa dell’eucalipto, il bambù o le fibre di banano.

Nel settore degli accessori, tra le realtà emergenti c’è la torinese Cingomma. L’azienda, nata ormai da qualche anno, ricicla vecchi pneumatici di bicicletta per realizzare cinture, zaini, borse e portafogli in gomma rigenerata. Le tecniche di lavorazione, dalla creazione della materia prima rigenerata alla decorazione con tecniche di color transferring, avviene senza l’uso di sostanze nocive.

La materia prima proviene da una rete di ciclofficine estesa in tutta Italia. La produzione, però, è interamente locale e gestita nella zona del torinese. In più, l’azienda non permette l’acquisto online quando nelle vicinanze c’è un negozio fisico dove si possono trovare i prodotti proposti.

Infine, sono molte le realtà che propongono l’acquisto di capi second hand. Come il franchising OkiDoki, che seleziona accuratamente l’abbigliamento di seconda mano, definendolo “pre-loved”.

Sei un’azienda di moda che promuove la sostenibilità e vuoi comunicarlo al meglio? Contattaci e incontriamoci: il team di Green marketing Italia è pronto ad affiancarti.